Sa pobidda de s’organista

Sa pobidda de s’organista


A Furtei veniva chiamato comunemente ziu Accheddu Tanas, il suo vero nome era Francesco Tanas Ulargiu. Era nato il 29 marzo 1880 da una famiglia che possedeva una discreta proprietà immobiliare. Sin da piccolo aveva avuto il dono della musica e ogni strumento musicale nelle sue mani aveva la facoltà di sbalordire quanti stavano in ascolto; per questo la sua famiglia si impegnò a fargli frequentare il Conservatorio di Cagliari nello studio del pianoforte. Questa passione, sin dalle prime lezioni, portava il giovane ad assumere posizioni e atteggiamenti di grandi maestri della musica e questo creava ilarità nella comunità contadina e pastorale di Furtei. E succedeva spesso che l’ilarità diventasse sarcasmo. Ma Acheddu Tanas non dava peso a queste superficialità della sua gente e continuava a immergersi nella musica con grande passione, riuscendo a prendere il diploma. Nel periodo dei suoi studi, la sua famiglia dovette affrontare problemi economici e a causa della cattiva amministrazione dei beni dovette vendere la proprietà per pagare i debiti.
Quando i familiari morirono, ziu Acheddu Tanas era ormai solo in possesso di una parte della casa e cercò così di trovare lavoro come maestro di musica. Nel frattempo, la domenica accompagnava la messa col suono dell’organo lasciando estasiati tutti quanti, in modo particolare quando eseguiva le composizioni dedicate alla Vergine Maria. Il vicario lo invitò così a fare l’organista della parrocchia. Il problema era la paga, che era ben misera cosa, ma il vicario non intendeva offrire di più e così ziu Acheddu si adattò. Con questo nuovo incarico ricevuto, rinvigorì gli atteggiamenti da maestro di musica e al suo viso roseo fece crescere una bella barba fluente.
Le ragazze del paese non prendevano molto in considerazione le sue proposte d’amore sia per la sua povertà, ma anche per i suoi atteggiamenti.
In quell’anno del 1905 ci fu una grande carestia e il paese, oltre ad essere colpito dalla fame, fu travolto da un’influenza pestifera nella quale fu coinvolto anche il nostro organista. Nessuno andava a trovarlo per offrirgli una scodella di roba, perché tale visita poteva dare adito a pettegolezzi, data la sua vita da scapolo.
Nel suo letto di sofferenza, in preda alle forti febbri, invocava e pregava il Signore di mettere fine a tale malattia e supplichevole fece voto alla patrona della Sardegna, la Madonna di Bonaria, promettendo che se fosse stato miracolato, sarebbe andato a piedi a Cagliari, nel suo Santuario, per renderle grazie. La preghiera era stata esaudita e al tempo prestabilito si preparò per la partenza. Erano in tante le persone che si erano recate a salutarlo invocando preghiere per loro. Queste gli offrirono fette di pane, lardo e frutti secchi, piccoli doni che lo avrebbero aiutato a nutrirsi durante il viaggio.
Ziu Accheddu prese il cammino a passi lunghi, carico di una coperta, di una bisaccia; alla mano stringeva il rosario. Ai piedi nudi calzava i sandali, com’era sua abitudine anche nel duro inverno. Ogni tanto si voltava per vedere il paese e quando questo scomparve dietro la folta vegetazione non poté fare a meno di piangere. Il viaggio era stato molto duro; arrivò dopo quattro giorni, stanco, ma felice di sciogliere il voto.
Il giorno della festività, in quel 24 aprile il tempo si fece primaverile dando calore, dopo gli acquazzoni dei giorni precedenti. Il nostro organista a fatica riuscì a farsi spazio tra i tantissimi devoti. Conosceva già quel sacro edificio, ma quel giorno rimase affascinato sia del santuario che dell’antico simulacro. Ascoltò messe e pregò per il suo paese. L’indomani, di buon’ora notò una donna che lo seguiva in preghiera. Lo incuriosì per l’alta crocchia che portava in testa, formata dai capelli girati. Lei lo guardò e gli fece un sorriso; lui la seguì quando ella uscì dalla chiesa. Dopo quell’incontro ebbe modo di conoscere la giovane. Si chiamava Antonia Caredda e diceva di avere antiche origini nobiliari. Viveva sola, dopo la perdita dei familiari. Non si era sposata, perché non aveva trovato l’uomo della sua vita e nell’organista trovò, oltre all’aspetto fisico di suo gradimento, anche la spiritualità. Tutto questo a ziu Acheddu Tanas parve un sogno, perché, oltre ad essere ricambiato in amore aveva trovato in Antonia anche una nobildonna. Lei lo invitava a sposarsi e a vivere in città, ma lui non se la sentiva di lasciare il suo paese e tuttavia accettò di vivere per un certo tempo a Cagliari.
Intanto a Furtei correva voce che l’organista si fosse dato alla malavita con certe donne, e anche il vicario era turbato per questa lontananza. Fu persino tentato di nominare un nuovo organista, ma poi ziu Acheddu Tanas fece ritorno. La vita cittadina infatti lo innervosiva e certe volte cadeva in un mutismo completo e questo indusse la sua amata Antonia a seguirlo a Furtei. Ella prese un baule, vi mise dentro i vestiti e le cose sue più care e col marito prese il treno di linea. Arrivarono a Sanluri Stato e poi con una carrozza giunsero a Sanluri, verso mezzodì. Non essendoci mezzo per Furtei, si fecero coraggio: il marito prese il baule e si incamminarono a piedi. Dopo aver superato alcuni dossi, dal pianoro, prima della lunga discesa, ziu Accheddu notò le sue colline e uno scorcio del paese. Posò il baule, si fermò e pianse di gioia. Lei gli asciugò le lacrime e ripresero il cammino. Solo che quella strada polverosa dava pensiero alla donna, perché le sporcava il suo vestito lungo di raso pieghettato. Aveva paura di sciuparlo. L’arrivo dell’organista venne subito notato dai paesani che si incuriosirono soprattutto per la donna che lo accompagnava. Si meravigliarono, oltre che per la sua bellezza, per la sua alta crocchia dei capelli e per il suo vestito lungo pieghettato che finiva con una specie di coda.
Dell’arrivo si sparse subito la voce e si recarono in tanti a salutare. Lo fece anche il vicario, a passo lento, data la sua mole. Ziu Acheddu presentò la sua sposa Antonia Caredda, precisando che era di nobile famiglia. Entrambi espressero il desiderio di sposarsi e il matrimonio venne celebrato in povertà, quasi in segreto, nella parrocchia di S. Barbara in quell’anno stesso, nel 1909.
I due vivevano felici. La casa era molto modesta, ma la moglie non dava peso a questo e lui riprese la vita di organista. Di buon’ora, lei lo seguiva in chiesa, dopo aver piegato i suoi capelli a crocchia e indossato il lungo vestito a coda che nel tratto di strada che percorreva dalla casa alla chiesa lasciava una scia, come se fosse passata una lumaca. Questa scia per molte donne era segno che era ora di recarsi in chiesa.
Durante la messa, lei allungava il collo per farsi notare dal marito, che stava all’organo.
Vivevano nella semplicità, ma erano felici.
La piccola casa l’avevano adornata di tante immagini sacre: ad ogni angolo poggiava l’effigie di un santo, mentre il comò e i comodini erano pieni di statuine. Il letto matrimoniale, che era l’altare dell’amore, aveva nella spalliera due rosoni di latta colorata con l’immagine della Madonna del Carmelo e della Sacra Famiglia. Dal loro matrimonio non nacquero figli e questo non turbò la loro unione. Erano rigidi nel rispettare le astinenze nei giorni prestabiliti dalla Chiesa, e nel letto, per non essere tentati al peccato, zia Arrita Assoba, così l’avevano soprannominata i furteresi, metteva due lenzuola per lungo arrotolati con dei punti di traverso che facevano da muro, e così ziu Accheddu Tanasa dormiva tranquillo.
Ziu Acheddu cercò di arrotondare la paga di organista andando nei paesi vicini per le grandi solennità.
I due continuarono a vivere felici fino quando Acheddu dovette partire in guerra nel 1915, per un triste destino. Antonia era disperta per doversi staccare dal suo amato, dopo appena sei anni di matrimonio. Il giorno della partenza, accompagnò il marito alla stazione di Furtei e piangendo non si voleva staccare da lui.
Zjia maria Rita Assoba ogni giorno continuava a recarsi in chiesa alle prime ore del mattino a pregare per il marito, affinché tornasse dalla guerra sano e salvo. E con il suo vestito lungo continuava a lasciare la scia come una lumaca. Ma un giorno, le donne che andavano a messa trovarono strano che la scia non ci fosse ed era che la povera zia Maria Rita Assoba era morta.
Il povero marito ritornò a guerra finita, addolorato per il patire in guerra e la prigionia. E adesso si aggiungeva la morte della moglie! Tutto il paese si riversò nella sua dimora a dargli conforto. Però il vedovo era strano: non disperava e non piangeva. Andarono anche le prefiche “ is attitadoras” per piangere la dipartita, ma ziu Acheddu le mandò via dicendo che non bisognava piangere per chi andava a dimorare in paradiso.
Ziu Acheddu trovò ancora conforto nella musica ed ebbe modo di acquistare fama anche in Continente.
In vecchiaia, la barba scendeva sempre più lunga e i pochi capelli presero il colore del bianco argento. Però a Furtei non riusciva a concentrarsi abbastanza nella preghiera e nella musica e pensò di trasferirsi in un luogo di altura per trovare ispirazione alla sua santità. Si trasferì a Villacidro con la sua valigetta di pentagrammi e spartiti. Col suo aspetto di profeta a tutti raccontava della sua nobildonna e questo faceva sorridere chi l’ascoltava. E quasi beffardi grandi e ragazzi gli chiedevano di raccontare della sua vita e delle sue nozze.
Si dice che durante la sua agonia, che durò un lungo giorno, lo si notava sorridere e parlare. Il vicario disse che parlava con la moglie Antonia Caredda, che l’aspettava in cielo.

Il racconto ci è stato tramandato da Filomena Corda e Francesco Piras.

— presso Sardegna.