Il culto della Madonna d’Itria

Il culto della Madonna d’Itria


Il culto della Madonna d’Itria

Il culto della Madonna d’Itria o dell’Odigitria, presente in molte località dell’Italia centrale e meridionale, della Sicilia e della Sardegna, nasce dalla venerazione di un’icona della Madonna, attribuita a S. Luca evangelista, custodita per tanto tempo a Costantinopoli e protetta dai monaci basiliani.
Questa icona ha una storia ricchissima, segue in pratica tutte le vicende della città; i fedeli la invocano e gli imperatori la portano in battaglia e nei cortei trionfali attribuendo alla Madonna strepitosi miracoli. Il dipinto resiste alla furia iconoclastica messa in atto dall’imperatore Leone III Isaurico, che ordina la distruzione delle immagini sacre; l’icona della Madonna viene riposta in luogo sicuro e a motivo del lungo nascondimento fioriscono numerose leggende, tra cui il suo trasferimento nelle spiagge pugliesi e poi nella cattedrale di Bari. Questa leggenda, giunta fino a noi attraverso rime poetiche, novenari e altre tradizioni popolari, è comune in tutta la Sardegna. Oggi sappiamo con certezza che l’icona di Bari è una copia e il suo arrivo è assolutamente leggendario. L’icona custodita a Costantinopoli venne distrutta dai Turchi nel 1453, quando questi invasero la città riducendola a un cumulo di macerie, massacrando quarantamila persone e riducendone in schiavitù cinquantamila.
L’icona dell’Odigitria seguì la sorte del suo popolo, ma il suo culto si diffuse oltre i confini, giungendo fino a noi.
Pensiamo che valga la pena incamminarci nei sentieri della storia, per conoscere gli eventi fondamentali che hanno dato origine a questa grande manifestazione di fede. Pensiamo anche che le ragioni del culto vadano oltre il dipinto stesso, ricercate nell’esperienza del divino che un popolo fa nella sua storia. Quando il culto dell’Odigitria giunse in Sardegna, quasi sicuramente nel periodo in cui l’isola era provincia bizantina, dal 533 al 900, la nostra terra aveva già i suoi martiri e i suoi eroi, aveva accolto vescovi esiliati e aveva elevato al soglio pontificio celebri papi.
E poi c’è un’altra esperienza di fede che un popolo fa, ed è quella che vive nell’intimità tra le pareti della sua casa, con le storie sentite dai suoi vecchi, tramandate da una generazione all’altra chissà da quando. Come con le antiche preghiere, anche con l’immagine della Madonna d’Itria noi abbiamo un legame che ci porta lontano nella storia e ci fa pensare al tempo in cui essa è stata dipinta la prima volta.
Noi contempliamo la nostra Madonna non con gli occhi corporei, ma con quelli dell’anima e della fede. Col passare del tempo abbiamo imparato a leggere il suo volto e a stabilire un rapporto con la sua persona. E’ Lei la nostra Signora di guida. E’ solenne, regale, consapevole di quel che ha e può, volge il suo sguardo verso di noi.
Lei conosce la strada.

Cenni storici e tradizionali sul culto della Madonna d’Itria a Villamar

Origine del culto

Il culto della Madonna d’Itria o Odigitria o Madonna di Costantinopoli, è sicuramente di origini orientali, in quanto collegato all’icona della Madonna col Bambino venerata a Bisanzio. Su questa icona esiste una tradizione cristiana, confermata anche in un canto poetico sardo, che attesta che essa  venne dipinta dall’evangelista Luca.

“ Santu Luca pigat su pinzellu, / su bellu ritrattu de Maria hat pintau”.

A Maria Odigitria Costantinopoli dedicò importantissime feste di ringraziamento, in ricordo delle diverse liberazioni della città dai nemici dei cristiani, grazie alla sua intercessione.

Il V secolo d. C. ( 476 )segna il crollo dell’impero romano d’ Occidente  per opera dei Vandali, seguaci dell’eresia ariana. In quel tempo, la Sardegna cadde sotto la dominazione vandalica. Venne riconquistata dai Bizantini nel 534, ad opera di Giustiniano, imperatore d’Oriente.

Furono sicuramente i Bizantini, con i monaci basiliani, a introdurre il culto dell’Odigitria in Sardegna.

La dominazione bizantina in Sardegna durò 300 anni.

Madonna d’Itria in Sardegna

In Sardegna l’Odigitria ha La sua specificità, in quanto onorata attraverso un gruppo statuario di quattro personaggi: la Madonna, il Bambino, lo schiavo e il turco. Questo in base a un miracolo ottenuto da uno schiavo, prigioniero in Turchia, che in occasione dei festeggiamenti a Maria nel suo paese natale, sentì il bisogno di tornare libero nella sua patria e per questo pregava. Il padrone turco, venuto a conoscenza del desiderio del suo schiavo, la notte lo teneva chiuso a chiave dentro una cassa sulla quale dormiva per essere sicuro che non scappasse. Ma destino volle che la cassa si mise a navigare nelle acque del mare con lo schiavo dentro e il turco, armato di scimitarra, sopra. Miracolosamente giunse a Itri per i festeggiamenti in onore della Madonna. Il turco, davanti a questo strepitoso miracolo, si convertì. Così in un’antica rima poetica viene espresso il sentimento della mamma:

Unu fillu iscrau teniada / una mamma sventurata / – E torramì – supplicada / – a fillu miu, O Maria,/ e de issu luegu s’esti bia / abbrazzada cun termura.

Origine del culto a Villamar

Il culto della Madonna d’Itria a Villamar è suggellato da un miracolo, custodito dalla tradizione popolare.

A Pauli Arbarei, l’ordine degli agostiniani fondò un convento nelle vicinanze della chiesa di S. Agostino. I frati agostiniani, devoti sia della Madonna della Consolazione che della Madonna d’Itria, avvertirono, insieme alla popolazione, il bisogno di avere il simulacro della Madonna d’Itria e si attivarono per commissionarlo.

Quando la statua venne realizzata, mandarono in città un carro di buoi per ritirarla. Il viaggio era stato lungo, gli animali erano stanchi, come pure gli addetti al trasporto. Arrivati in agro di Villamar, al confine con Pauli Arbarei, i buoi si fermarono e non volevano più camminare. Gli uomini infastiditi, brutalmente cominciarono a pungolare le povere bestie per indurle a riprendere il cammino. Queste ripresero per cinquecento metri, fino alla chiesetta campestre di Serra Sinnas, che nel periodo giudicale segnava il confine territoriale tra il Giudicato di Arborea e quello di Cagliari.

La notizia dell’accaduto si diffuse presto, e giunsero sul posto le autorità civili e religiose, insieme ai frati agostiniani; tutti finirono per affermare che la Madonna aveva scelto Villamar come sua sede.

A ricordo di questo, alla prima fermata, venne eretto un cippo con una croce particolare, grande segno nel tempo  che induceva i pellegrini a soffermarsi per un momento di preghiera.

I villamaresi furono  grati per questo miracolo, mentre gli abitanti di Pauli Arbarei serbarono rancore, e tuttavia non mancavano all’appuntamento di Pentecost,e anche se in cuor loro dicevano: “ Sa Madonna è sa nostra! “.

Per questa vicenda, le autorità ecclesiastiche della diocesi di Ales e la parrocchia di Villamar decisero di cambiare il nome della chiesetta, e la Madonna di Serra Sinnas venne dedicata alla Madonna d’Itria. Tale cambiamento è documentato nella toponomastica.

La Confraternita

In questo contesto nasce la confraternita della Madonna d’Itria, come viene attestato nell’archivio parrocchiale di San Giovanni Battista nel libro VI dell’anno 1738, dove sono registrati, insieme al nome del parroco Salvatore Concu e del priore di quell’anno, Sisinnio Concu Piano,  i nomi di tutti i componenti della Confraternita  e anche il nome dell’eremitano Sanna Priamo e “de s’andadrixi “ Concu Priama.

I priori degli anni successivi i furono:  Juani Lay ( 1741 ), Antonio Murgia ( 1743 ), Antioco Murru ( 1746 ), Salvatore Concu ( 1748 ) Mura Garau Sisinnio ( 1771 ). Le prioresse in carica in quegli anni furono Margherita Lilliu, Florencia Mancosu, Sisina Murgia, Antonia Medda Pintadu, Sisinia Pintadu, Luysa Salis, Menenziana Medda Pintada, Maria Porcella, Maria Cadelina Floris.

Nel documento di istituzione della confraternita, viene riportato il numero massimo dei confratelli che era di 72 componenti. Questi avevano l’incarico di scegliere il priore.

L’abito di vestizione dei componenti della confraternita era di tela bianca, lungo fino ai piedi, con cappuccio, anch’esso di tela bianca, l’insegna di Nostra d’Itria al petto, cingolo di seta azzurra, rosario, cappetta azzurra.

Il regolamento, composto da una lunga serie di articoli, indicava le norme da seguire per uno stile di vita morale e religioso.

La voce di quanto accaduto a Villamar si diffuse in tanti paesi della Sardegna e venne considerato miracoloso. Per questo il nostro paese a Pentecoste diventò un richiamo per chiedere grazie.

A tal proposito nel dizionario sardo Angius / Casalis del 1842, così leggiamo: “ A Pentecoste, in quei giorni di festa, il culto della Vergine d’Itria coinvolge i paesi vicini e lontani”.

Ancora: L’Avvenire di Sardegna del sabato 31 maggio 1890 riporta che “a Villamar la festa primaverile di Pentecoste, si è svolta con una moltitudine di fedeli del paese e forestieri” e prosegue dicendo che “ nei festeggiamenti civili i fuochi artificiali non avevano avuto nulla da invidiare a quelli di S. Efisio a Cagliari”.

In questo contesto di cultura popolare si innestano con identico fervore poveri, affamati, bisognosi, con presenze di madri che si inginocchiavano in terra e stringendo i propri figli chiedevano la grazia della salute.

Cenni storici e tradizionali sul culto della Madonna d’Itria a Villamar

Anche i benestanti si inseriscono non solo nella fede, ma anche nella Confraternita. Ricordiamo Antonio e Priamo Murgia nel ruolo di priori, provenienti da una famiglia dotta che si era distinta negli studi amministrativi e prefettizi, come l’illustre Francesco Ignazio Murgia, prefetto a Palermo nel regno d’Otranto, a Lecce, a Pistoia e in altre importanti città. Diventerà in seguito deputato in Parlamento per due legislature.

 Mentre espletava il suo incarico di prefetto nel sud Italia, ebbe modo di conoscere il culto verso l’Odigitria, molto diffuso anche in quelle regioni. Il collegamento alla festa di Villamar fu immediato con tutti i ricordi legati ai momenti più significativi della festa in casa, nel paese e nel santuario che ogni villamarese si porta anche in terra lontana. E nel suo nuovo percorso di vita, ancora invocava l’Odigitria in una terra con frangenti contrari all’unità d’Italia che, come scriveva a suo padre Priamo, potevano sfociare in una rivolta. Quando venne trasferito nella bella città di Pistoia,  ricca di cultura e di opere d’arte, conobbe l’artista scultore e intagliatore Giuseppe Carradori e rimase affascinato da una carrozza che stava realizzando; immediatamente il suo pensiero andò verso la Madonna d’Itria. Si fece dare un progetto che in occasione di una sua visita a Villamar presentò alla confraternita ed altri. Tutti rimasero entusiasti e su quest’ondata di consenso si decise che bisognava farla realizzare per la Madonna d’Itria, che le spese sarebbero state garantite dai benestanti.

Francesco Ignazio Murgia diede l’incarico all’artista Carradori di realizzare il cocchio. I lavori si protrassero per lungo tempo, come l’opera richiedeva, e i villamaresi malignamente cominciarono a dubitare della serietà dell’affare. E quando nell’aprile del 1875 arrivò il cocchio, i responsabili del commissionamento si tirarono indietro sulle quote da versare. La famiglia Murgia dovette farsi carico di oltre la metà delle spese che gravarono sulla sua economia aziendale.

E pur tuttavia l’onorevolissimo Francesco Ignazio Murgia continuò nel suo progetto della festività della Madonna d’Itria per renderle onore anche attraverso gli archi – illuminati con il carburo, oggi realizzati con illuminazione elettrica – e aste imbandierate con il tricolore italiano lungo il percorso processionale.

Quella dei Murgia era stata una grande famiglia di fede e di cultura, che Villamar ha completamente scordato. 

Ci fu grande consenso per il cocchio dorato, solo che non c’era un locale adatto per tenerlo al sicuro. Per alcuni anni vennero i fratelli Atzeni di Cagliari per montarlo, smontarlo e collocarlo nelle apposite casse di arrivo. Questo fino a quando don Salvatore Murgia, beneficiato nella chiesa di S. Anna e altri prelati riuscirono, attraverso il vescovo, a concedere l’autorizzazione di aprire un portale per l’accesso del cocchio in parrocchia, che venne sistemato con la Madonna adagiata dentro, nella cappella di S. Priamo.   

Il cocchio dava l’idea di uno scrigno che custodiva il simulacro e suscitava stupore avvicinando villamaresi e forestieri a chiedere grazie. C’era sempre un andirivieni di gente in preghiera.

Cambiamenti nella festività e fede radicata nel cuore dei villamaresi

Si tramandano molti interventi miracolosi sia sui bambini che sui grandi e questo per lungo tempo, fino agli Anni Cinquanta, quando mons. Botto con le autorità ecclesiastiche asserì che il cocchio non poteva stare dentro chiesa perché considerato un carro. Si riuscì a dare valenza a questo concetto e togliere il cocchio dalla chiesa quando stava espletando l’incarico di parroco don Floriano Piras, d’accordo con parte della confraternita. Questo portò parte del paese, in una notte, a insorgere e a prendere d’assalto la canonica. La rivolta si protrasse per molte ore, fino a quando arrivarono alcune camionette dei carabinieri a sedare la rivolta.

A questo si aggiunse un altro fatto, considerato peggiore dell’altro: lo spostamento della festività della Madonna d’Itria da Pentecoste alla terza domenica d’agosto. Il paese insorse ancora con insulti. Per placare gli animi, si fece un referendum fra le famiglie e vinsero quelli che volevano il cambiamento. In pochi assistettero allo spoglio delle schede e i maliziosi dissero: “Predi e cunfraria hanti fattu e sciattu “.

Ci si chiede come abbia potuto la Chiesa accettare questo cambiamento, visto che il culto dell’Odigitria ha le sue fondamenta nella festività di Pentecoste.

Lo spostamento di data conferì una buona dose di mondanità facendo largo spazio ai festeggiamenti civili, dando la possibilità di partecipare a tanta gente e diventando punto d’incontro di tanti emigrati che tornavano in quell’occasione a Villamar.

Nei giorni della festività accorrono ancora oggi centinaia di forestieri da ogni parte sia per fede, sia per gli spettacoli serali. Ma nel martedì, al rientro notturno dal santuario al paese, con luci ed archi che illuminano il passaggio del cocchio trainato dai buoi a passo lento, la Vergine pare stringa il Bambino Gesù nel suo manto azzurro, tra una processione di gente impossibile quantificare, ancor meno nella piazza di San Giovanni dove La Vergine si ferma per l’adorazione. La gente guarda il suo viso angelico e osserva i due  orecchini pendenti dorati che non cessano di muoversi per tutta la durata della festività, dando sempre il senso di un grande miracolo.

I villamaresi da sempre onorano così la Madonna d’Itria, perché il culto è dentro l’anima, e ancora lo tramandano fino ai giorni nostri.  E non ci sarà cambiamento, proposto dalle autorità ecclesiastiche o dalla Confraternita, che possa scalfire questa fede raccolta e custodita.

( Albertina Piras e Antonio Sanna )