Santa Vitalia a Villamar

Santa Vitalia a Villamar


E’ da tempo ormai che a Villamar non si festeggia più Santa Vitalia.
Però ogni anno, il primo lunedì di ottobre c’è sempre nella balaustra dell’altare maggiore della parrocchia la statua di santa Vitalia che tutto l’anno è riposta in una nicchia, a destra, nella cappella della Difesa dove c’è l’Immacolata Concezione e la Madonna di Bonaria.
Per quell’occasione la statua viene corredata di due nastri rossi e di una palma, per ricordarne il martirio. Non manca mai una bella composizione di gerbere o anturium rossi.
Mi chiedevo chi si prendesse cura di custodire la memoria della santa e pensavo a una donna discreta, a una donna di fede. Ora questa donna ha un volto: è la moglie dell’ultimo presidente dei festeggiamenti civili e religiosi in onore di santa Vitalia. Andreina Pocedda.
Santa Vitalia vi renda merito a tutti e due per la vostra devozione.
Non è una sviolinata. E’ un pensiero e un augurio sincero: accoglietelo!

La ricerca sul culto di Santa Vitalia a Villamar mi indirizza verso la casa dell’ultimo presidente: il signor Francesco Floris. La si individua fra le altre attraverso un murale della sua abitazione, che evidenzia il forte legame tra pastorizia e antiche radici culturali.
La poesia di Umberto Saba “ La capra “ne completa il quadro. Caprette sparse in tutto il dipinto, un pastore che munge, un patriarca che vigila su tutto lo scenario.
– Ma, è stato lei, signor Floris a scegliere il tema del murale? –
– Certo – ha risposto – sorridendo – ho scelto io le capre dipinte sul muro, perché così nessuno me le ruba!
– Perché gliele hanno rubate qualche volta?
– Tante volte!
Poi, stendendo un velo pietoso sulla cattiveria della gente, è voluto andare a fondo, all’inizio della sua attività con le capre.
Con le capre, non con le pecore, tutto il suo affetto è per le capre.
Un affetto che lo porta lontano nel tempo, a una vigilia di Natale quando un pastore di Morgongiori gli aveva dato una capretta, non un capretto, come lui si aspettava.
Ma come si poteva ammazzare una capretta così bella per l’arrosto di Natale?
– Cucinate quello che volete, spennate galline e anatre, fatele bollite o allo spiedo che non me ne importa niente, ma questa capretta non mettetela nel conto, che d’ora in poi sarò solo io a provvedere a lei.
La sua attività era cominciata così e da quella capretta era nato il suo gregge. E tuttora che è in pensione e potrebbe anche fare a meno di lavorare, ancora le porta al pascolo e la moglie Andreina lo asseconda e fa formaggio e ricotta e tante cose buone con i derivati del latte.
Sono loro due che custodiscono un’attività che sta scomparendo, ma anche il culto verso la santa così amata e onorata dai pastori sardi: Santa Vitalia.

Il culto legato a Santa Vitalia era gestito dai pastori, e un pastore ancora in vita che aveva avuto in affido il gregge delle pecore intestato a Santa Vitalia è zio Boico Serra. Nelle belle giornate di sole, anche in pieno inverno, lo trovi a passeggio lungo il canale coperto di Rio Cani, oppure seduto in qualche panchina. Solo o con altri amici di ogni età. Sta bene solo con se stesso e sta bene in compagnia. Una persona pacata e affabile.
Fa presto a collegare il filo col passato, tutto sembra scorrere in lui nel presente, tanto è nitido il ricordo.
Racconta che ebbe in affido il gregge di Santa Vitalia nel 1950. Doveva rendere conto a fine anno di 20 agnelli per ogni 40 pecore.
C’era un comitato permanente che vigilava con rigore sull’operato del pastore che aveva in affido le pecore.
Di questo comitato facevano parte; Gesuino Floris, Audino Pitzalis, Eufrasio Piano e altri.
Zio Boico dice che aveva reso conto come previsto in quell’anno 1950.
Poi, come va sempre il mondo, non tutti avevano fatto come lui e c’erano dei malumori che avevano messo in difficoltà anche il comitato.
Così, quando il parroco don Floriano Piras aveva proposto di vendere il gregge delle pecore per restaurare la chiesa parrocchiale, ci fu l’accordo da parte della maggioranza, se non di tutti, anche per mettere fine alle discussioni. Le pecore vennero vendute nel 1952 a Nicola Onnis di Pauli Arbarei.
Dopo la vendita del gregge, il punto di riferimento per i pastori villamaresi era diventata la festa di Santa Vitalia, a Serrenti. Si andava a piedi in gruppo ( a cambarada ), in corriera, carro, bicicletta.
I pastori portavano in dono a Santa Vitalia agnelli e pecore. Li portavano in piazza. Le donazioni venivano documentate e registrate.
Raccontano di tziu Larenzu, un pastore di Villanovafranca, sposato a Villamar con Marietta Battola, molto devoto di Santa Vitalia, andava a Serrenti a piedi e portava dentro sa betua le sue due gemelline, Luisa e Vitalia, una in una sacca e una nell’altra. Il ricordo è stato tramandato da Antonello Mura.

Riguardo alla ricerca sulla festività di Santa Vitalia a Villamar, c’è un altro tassello da aggiungere che mette in risalto la componente femminile e focalizza l’attenzione sull’impegno della moglie di uno dei pastori più attivi del comitato per i festeggiamenti.
Si tratta di zia Pietrina Siddu, la moglie di zio Eufrasio Piano. La figlia Paola Piano  ne ricostruisce la memoria attraverso i suoi ricordi di bambina che la riportano alla festa nella sua casa con la madre indaffarata per preparare ogni tipo di dolce per accogliere in casa le compagne che l’aiutavano a preparare la Santa, ma poi anche per la cena la notte della festa quando con orgoglio zio Eufrasio invitava i cantadores che si esibivano in piazza sfidandosi con battute in rima. Invitava tutti i componenti del comitato. Riflettendo dice Paola che quei giorni felici sono stati un balsamo per lei nei momenti di sofferenza nella vita.
Come quando si preparava l’agnellino da offrire in chiesa per l’offertorio. Veniva lavato fino a farlo diventare candido come la neve e poi veniva ornato con nastri rossi o verdi! Com’era bella questa festa che coinvolgeva intere famiglie con tutti i suoi componenti: grandi e piccoli.
Grazie Paola Piano per i ricordi che custodisci e di cui ci hai reso partecipi.

Per Santa Vitalia erano tanti i fattori che incidevano sulla buona riuscita della festa e sull’indice di gradimento della popolazione che, ovviamente si ripercuoteva nel contributo che si offriva sia in denaro che con prodotti del mondo agro-pastorale nel periodo della questua.
I pastori erano particolarmente appassionati della poesia orale estemporanea improvvisata dai cantadores che si esibivano in piazza San Pietro, mentre i giovani si orientavano verso spettacoli con canti e balli in Prazza de Corti.
Con la testimonianza di Pina Cabras, presidente del comitato per i festeggiamenti civili e religiosi alla fine degli Anni Ottanta, registriamo la crisi di pubblico interessato ai Cantadores, perché la tradizione delle gare era legata a un modello di società che stava scomparendo, ma anche alla lingua sarda ormai entrata in disuso. Da aggiungere che anche i nuovi talenti sceglievano nuovi percorsi per affermarsi.
Il comitato comincio’ a dividersi sul programma dei festeggiamenti civili. Si cercò quell’anno di risolvere venendo incontro alle esigenze di tutti, ma negli anni successivi il divario delle richieste continuo’ ad accentuarsi finché divenne impossibile proseguire con i festeggiamenti civili.