Tempi di guerra

Tempi di guerra


Mamma ci raccontava che durante la seconda guerra mondiale il governo aveva preso severissimi provvedimenti per la distribuzione dei generi di prima necessità.
Dopo la trebbiatura il grano veniva rastrellato nel campo stesso, e nelle case dei proprietari veniva effettuato un rigido controllo da parte dei carabinieri e dal personale degli uffici annonari.
Gli alimenti venivano distribuiti solo dietro presentazione di una tessera con bollini, che consentiva di acquistare lo stretto necessario per i bisogni di famiglia. Razionato perfino il pane: 150 g. al giorno a testa; 200 g. per le persone addette ai lavori pesanti.
Sì, un po’ di grano lo nascondevano tutti, perché quella pagnottella razionata non arrivava manco in gola.
Mamma, di testa sua, una volta aveva nascosto il grano nel pagliaio, insieme a zia Dolla. Non l’aveva fatto per venderlo a mercato nero, come faceva certa gente. Lei lo faceva per sopravvivere con la sua famiglia e con tutta la gente che c’era in casa. C’erano venti e trenta operai che lavoravano dall’alba fino al tramonto e per svolgere questi massacranti lavori la gente aveva bisogno di masticare roba sostanziosa, ben condita soprattutto.
Babbo si rattristava quando vedeva che le provviste stavano per finire. Un giorno mamma lo aveva visto più preoccupato del solito, allora gli aveva detto:
“Vieni, ti faccio vedere una cosa”.
Babbo l’aveva seguita nel pagliaio. Zia Dolla gli era andata dietro.
Quand’erano arrivati in fondo al pagliaio, mamma aveva preso un tridente e aveva fatto una buca, poi aveva detto a babbo:
“Guarda”
Babbo aveva fatto una faccia, zia Dolla si era messa a ridere e mamma lo stesso.
“ Voi siete pazze da legare! Nascondere questa roba in casa!”
“In casa è più sicuro di qualsiasi altro posto”.
E gli aveva ricordato di quel proprietario che aveva preferito nascondere il grano nell’orto, anziché a casa sua. Insieme all’ortolano aveva fatto una buca tra le piante di pomodori e cavolfiore e lì aveva sepolto il grano. I figli dell’ortolano, nel cuore della notte, mentre il padre russava peggio di una locomotiva, avevano venduto il grano “ a mantininca” a mercanti del nuorese. L’avevano venduto tutto; non ne avevano lasciato manco l’ombra. Venti starelli di grano, a cinquemila lo starello. Con i soldi incassati si erano vestiti da capo a piedi. Li vedevi passeggiare per le strade, lustri e agghindati come signori di città. E ti chiedevi: “Ma da dove caveranno fuori i soldi questa gente!” Poi la cosa si era saputa, del grano sepolto tra le piante dei pomodori e quelle dei cavolfiori, dei mercanti del nuorese venuti con bisacce di nocciole e fasci di soldi. Ma che cosa si poteva fare? Se il padrone avesse fiatato, il primo a finire in galera sarebbe stato lui. Così si era fatta una croce dov’era stata fatta la buca e non se n’era parlato più.
E nessuno seppe mai nulla, neppure del grano che aveva nascosto mamma.
Però tutti sapevano che in casa nostra nessun operaio aveva mai sofferto la fame e che un pezzo di pane per un povero c’era sempre.