Zio Silvestro e il telaio di zia Costanza

Zio Silvestro e il telaio di zia Costanza


Fra le storie che si raccontavano in occasione della macellazione del maiale, non si trascurava mai quello di zio Silvestro, la volta che per la festa del maiale aveva invitato il sindaco Marongiu e il segretario. Quella volta forse avevano bevuto un po’.
Dopo pranzo erano andati a Guamaggiore ad accompagnare il segretario, che era di quel paese. Forse avevano continuato a bere.
Guidava Marongiu. Al rientro stava per cadere in un canale.
“Guarda che quello è un canale” gli diceva zio.
“Ih, là…che mi sembrava lo stradone!” aveva risposto Marongiu.
In ogni modo erano riusciti a tornare in paese.
Zia aveva visto che zio aveva gli occhi lucidi, perciò gli aveva detto:
“Si è fatto tardi, comincia ad andare a letto, io finisco di pulire questi semi d’anice, e poi ti raggiungo”.
Quando zia era andata a letto di zio non c’era traccia. Il letto non era stato manco toccato e nella stanza tutto era in perfetto ordine. Zia aveva chiamato il marito e niente. Disperata era uscita di casa e cercandolo era arrivata a casa della suocera. Nessuno l’aveva visto. Era stato come se il vento l’avesse raccolto. Il pomeriggio c’era stato un acquazzone, il fiume era cresciuto, zia si stava mettendo in testa che il marito fosse caduto dentro il fiume.
Disperata era tornata a casa, perché aveva lasciato tutto aperto e com’era entrata nella stanza aveva visto il marito coricato nel telaio dove lei stava tessendo.
“Ma cosa fai? Ti sei coricato sul telaio?” aveva urlato zia.
“Ih, là…che mi era sembrato il letto!” aveva risposto zio levandosi di soprassalto.

E così, tra un racconto e l’altro finivamo di tagliare la carne. Mamma la condiva con sale, pepe, aglio, semi d’anice e la lasciava insaporire per un giorno intero; dopo di che si procedeva ad insaccare la carne nelle budella, accuratamente lavate e tenute in acqua con foglie di limone. Per questo lavoro usavamo una macchinetta di ghisa, che aveva un tubicino lungo nel quale si infilava il budello. Mentre noi facevamo questo lavoro, babbo nel loggiato preparava le pertiche che faceva pendere con delle funi dalle travi, e lì si appendevano le salsicce per asciugare. Un settimana dopo, non si sapeva chi, qualcuno aveva cominciato ad assaggiare le salsicce.
Per un paio di giorni si sentiva l’odore della carne condita, dell’aglio dei semi d’anice, del pepe.
L’aria densa di grasso si mischiava con quella umida dell’esterno e rimaneva, nonostante si aprissero porte e finestre.