Sa tundidura

Sa tundidura


Quando la stagione primaverile avanzava e incominciava a farsi sentire il caldo, le prime bestie a risentirne erano le pecore, con quella lana fitta che avevano addosso. Quando erano raggruppate tiravano fuori la testa dal mucchio per cercare più aria da respirare: avevano bisogno di fresco.
Era giunto il tempo della tosatura. Questa si concludeva con una grande festa e anche questa si faceva in casa. Nell’atmosfera allegra si cominciava raccontando della bravura dei tosatori e del numero di pecore che riuscivano a tosare in un’ora. Certi ne tosavano anche venti in un’ora. Come zio Angelino.
Una volta zio Boico Serra gli aveva detto: “Domani devo tosare le pecore, si fa festa, viene anche tuo compare Provino, sei invitato anche tu nel mio ovile”.
“Non ci vengo, mi fanno male i reni, lo sai che non sto bene, non posso lavorare”.
“Ma tu non lavori, l’unica cosa che ti chiedo è di arrostire un paio di anguille”.
“Beh, se si tratta solo di arrostire non ci sono problemi”. Ma siccome zio Angelino non è il tipo da andare a mangiare a sbafo, all’ovile era arrivato il primo di tutti e intanto che gli altri si decidevano ad arrivare, lui aveva già tosato una ventina di pecore. E quando gli altri erano arrivati, non gli piaceva farsi da parte, e così aveva passato la mattina lavorando quanto gli altri, se non di più.
A mezzogiorno in punto si era dato una lavatina e aveva detto a zio Boico: “E’ ora di preparare…dimmi dove trovo tutto l’occorrente che io comincio a preparare l’arrosto”.
“Siamo in campagna, – gli aveva risposto zio Boico – … fatti un giretto, va’ a cercare un po’ di legna, le anguille sono in quel sacco, lo spiedo me lo sono scordato in casa. Vedi un po’, arrangiati come ti pare”.
“E come sarebbe a dire” aveva cominciato a protestare zio Angelino…ma siccome gli altri continuavano tutti a lavorare, tranquilli come se avessero appena mangiato e lui invece si sentiva lo stomaco appiccicato alla schiena, aveva cominciato a prendere in considerazione il consiglio che gli aveva dato zio Boico, e cioè di arrangiarsi.
Con infinita pazienza era andato a far legna e, siccome l’ovile era in “Su Solu”, dove alberi e cespugli non ne vedi manco col cannocchiale, si era dovuto spingere molto lontano per trovare un fascio di legna e con un palmo di lingua fuori l’aveva portata nell’ovile. Gli altri tosatori conversavano allegri, come se fosse del tutto normale quello che stavano facendo fare a quel pover’uomo che aveva mal di reni e che aveva cominciato a lavorare prima di loro, che aveva già tosato venti pecore prima che loro arrivassero. Ma adesso veniva il bello! Come arrostire le anguille, visto che zio Boico non aveva portato lo spiedo. Nella stanzetta che zio Boico aveva nell’ovile non c’era nulla che gli faceva venire l’ispirazione sul come fare. Intanto, per non stare lì a perdere tempo, aveva acceso il fuoco. Quando la brace stava calando, aveva puntato gli occhi verso il letto di zio Boico e in men che non si dica aveva buttato giù coperte e materasso, tirato la brace in mezzo alla stanza e ci aveva messo sopra la rete. Quando questa era tutta arroventata, aveva cominciato il tiro al bersaglio con le anguille. Le più sfortunate rimanevano sigillate alla rete al primo colpo, le altre balzavano fino alla cannicciata, ma la fortuna non le assisteva più e cadevano di nuovo a terra. Zio Angelino era pronto per un altro tiro e così, una dopo l’altra sono tutte distese buone nella rete…ancora un po’ di fuoco, qualche protesta di qualcuna che non voleva arrendersi, … silenzio…un po’ di buona volontà e il pranzo è pronto.
In mezzo all’allegria generale e con una montagna di anguille arrostite, zio Angelino non ha nemmeno il coraggio di dire niente a zio Boico. E dopo aver banchettato insieme a tutti gli altri, per non dire che è andato lì a mangiare a sbafo, dopo pranzo si rimette a tosare pecore e nemmeno quella volta nessuno ne aveva tosate quanto lui.